lunedì 2 marzo 2015

L’UNICA CACCIA CHE CAPISCO


Da quando qui a Naha sono diventato un gattaro, in quanto stanchissimo di vedere le povere bestiole finire sotto le auto o nella camera a gas di Ōzato, ho capito che la miglior arma per combattere i suddetti nemici è la sterilizzazione dei mici randagi. Meno gatti in strada = meno gatti piallati sotto le ruote/a Dachau (a scuola ero bravino assai in matematica). Però, qui a Okinawa, nessuna autorità fino a oggi ha affrontato il problema seriamente, se non varando qualche programma di facciata (sterilizzare i gatti solo lungo Kokusai-dōri, la via-vetrina dei turisti, ma solo perché a questi ultimi piacciono i mici) e di breve durata/utilità pressoché nulla. Tutto, da quando sono a Okinawa, è sulle spalle (e nelle tasche) dei volontari, Anime Sante di cui il pianeta sembra avere sempre più bisogno. Quando, tempo fa, un amico americano ha varato il programma TNR (Trap, Neuter & Return, ‘cattura, sterilizza e libera’), se non le acque mi si è aperto almeno il cielo. Per cui, anche se auto-privo, ho accolto la possibilità di partecipare a questo programma come se fosse un pasto a base di figa benedetta.
  
  


Ieri, messo assieme un A-Team (muà, la sempre fida Myu-san, l’amicona Tomomi, il compaesano Goya-san e il giovane neozelandese Jasper; Satoka era a casa, piegata dal torcicollo per overdose di danze a una festa della settimana scorsa), abbiamo stivato il furgone di Myu – gabbie, scatolette di cibo per gatti, insalatona per noi, guanti anti-graffi/dermatiti – e raggiunto, non senza perderci, Okinawa City. Colà pulsa un parco grande più o meno come Central Park. Stanare il punto di incontro dei volontari è stato il famoso sbocco di sangue (mi sono girato a piedi mezzo parco con una gabbia sulla nuca), ma alla fine ce l’abbiamo fatta. In un edificio datoci gentilmente a disposizione dalla direzione del parco sono state radunate grandi quantità di gabbie, asciugamani usati (per coprire le gabbie: i mici catturati se al buio si tranquillizzano), pappe assortite e molto altro. Tanti volontari, soprattutto donne giapponesi e americane (anche qualche uomo e qualche cinno). Io e Goya a portare il tricolore (e formaggio e taralli), Jasper la bandiera maori.

 


  
La prima fase è stata quella della cattura. Il parco in questione ha una popolazione gatta elevata e per questo motivo è stato scelto. Abbiamo iniziato a spargere gabbie qua e là, di due tipi. Le prime per i mici addomesticati, facilmente avvicinabili a suon di croccantini, vocine e carezze (il primo e unico gatto che ho catturato l’ho truffato così), le seconde dateci dall’associazione che ha sponsorizzato il programma (Doubutsu Kikin), vere e proprie trappole per topoloni. Jasper ha girato un film d’azione su tutta la faccenda, installandosi una videocamera sulla fronte. Attendo con ansia di vedere il risultato. Essendo il neozelandese giovane (22 anni suonati), e dunque dotato di occhi e riflessi molto migliori del sottoscritto alle soglie della terza età, è stato il recordman del nostro team: quattro gatti messi in saccoccia.




Alcuni mici non sono fiessi, per cui avvistata la gabbia e annusate le pappe saporite (la più efficace: acciughe odorosissime, ai limiti della putrefazione), hanno provato a pranzare infilando la zampina attraverso le sbarre delle gabbie. I gatti erano stati tenuti a stecchetto nelle ultime ore: l’organizzazione aveva disseminato il parco di cartelli in giapponese e in proto-inglese avvisando la gentile clientela gattara di non sfamare le bestiole, altrimenti chi sarebbe entrato nelle trappole? I mici più fiduciosi nei confronti del prossimo sono andati con tutto il corpo nelle viscere delle gabbie. Ma, essendo gabbie con la sensibilità di un leghista, solo una fra quelle usate dal nostro gruppo ha funzionato. Tutte le altre hanno fatto cilecca. Da ieri senz’altro la fiducia dei gatti nei confronti dell’uomo in quel parco è scesa al minimo storico.











Prima dell’azione abbiamo fatto il pieno di calorie con una piccola orgetta culinaria nell’ano del furgone, a base di insalata, pane, panini, onigiri, tè al gelsomino e taralli e formaggio (bravo Goya e brava la sua mamma che li ha spediti da Bulàgna). Ogni tanto qualche nonno che faceva jogging nel parco ci chiedeva che cippa stessimo combinando, noi gaijini, con tutte quelle gabbie. Io ho corteggiato inutilmente, a suon di croccantini e poesie brevi, quasi futuriste, una micia sotto l’auto di un parcheggio. Mezz’ora cronometrata di corteggiamento, andato a vuoto, dopo una serie infinita di esco-non-esco. La diffidenza è spesso la salvezza dei gatti randagi, ma se a volte se la dimenticassero non sarebbe poi così male. Alla fine la zoccola, dopo un triplo carpiato di Goya sull’asfalto del parcheggio, è fuggita rintanandosi fra gli alberi. Verso le sei di sera, stanchi e un po’ zozzi, siamo rientrati alla base. Risultato complessivo a dir poco eccezionale: 52 mici in una sola giornata! L’organizzazione $ponsorizza la sterilizzazione a 120 gatti e il programma finirà venerdì (nei prossimi giorni ci tornerò). Dunque siamo a buonissimo punto, anche se temo che ora rimangano solo le prede difficili, le tigri più diffidenti. Il veterinario che opererà tutta la tribù dovrebbe venire dopodomani e mettersi al lavoro di brutto. Nelle sue mani il futuro di tanti mici, che gli dèi guidino le sue dita.






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